Cosa pensate dell’accordo tra Israele e Hamas, 1000 detenuti palestinesi in cambio del soldato Gilad Shalit? Ora che il caporale è libero, il mio blog è aperto al dibattito.
Archivio 'Israele'
Gilad Shalit torna a casa
Cinque anni, millenovecentotrentaquattro giorni, e ancora poche , lunghissime ore…. Gilad Shalit torna a casa. In cambio del soldato, Israele liberera’ oltre mille detenuti palestinesi, molti dei quali condannati per terrorismo.
Cari amici, vi propongo le emblematiche immagini di una notte straordinaria Sono state scattate a Gerusalemme, nella tenda di mamma e papa’ Shalit: il loro sorriso non necessita commento. A stringersi gioiosamente attorno a loro, centinaia di persone. Israele ha rispettato l’impegno preso con i suoi soldati: riportarli a casa. Anche Gaza festeggia: decine di migliaia di persone sono scese in piazza. Tra loro, i militanti del braccio armato di Hamas.
A casa vittoriosi ma senza speranza
Cari Amici, pubblico sul mio blog l’analisi che ho scritto per l’Occidentale sul duello Netanyahu – Abu Mazen all’Assemblea Generale dell’Onu:
Missione compiuta. Il presidente dell’Autorità’ Palestinese Mahmoud Abbas, Abu Mazen, a Ramallah a dispetto della giornata insolitamente uggiosa ha annunciato che la “primavera palestinese” e’ nata, davanti ad una folla festante che per chi ha memoria storica ricordava tragicamente quella che accolse Yasser Arafat di ritorno da Camp David. Il premier israeliano Benjamin Netanyahu a Gerusalemme ha convocato il “Consiglio dei sette”, la cui stessa esistenza getta un’ombra sulla sua capacità di leadership, per condividere con i più importanti membri della sua coalizione la soddisfazione per aver trasformato Barak Hussein Obana in Theodor Herzl e di aver piegato il Quartetto alle sue posizioni, negoziati senza pre-condizioni Entrambi soddisfatti, i due leader, dei rispettivi discorsi davanti all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Peccato che le loro parole suonino come una orazione funebre per la morte del bene più prezioso: la speranza.
Ripercorriamoli questi “storici” discorsi. Abu Mazen, ha rispolverato tutto l’armamentario retorico palestinese contro Israele: potenza occupante, pulizia etnica, apartheid. Ha condannato il terrorismo, è vero, ma enfatizzando quello “di Stato” dei coloni. Ha parlato di radici musulmane e cristiane della terra che rivendica, tacendo su quelle ancora più antiche e profonde dell’ebraismo. Ha
Intervista a Shimon Peres – Tg1 e Rai News 24
A pochi giorni dalla visita in Italia, dove parteciperà alle celebrazioni per il 2 Giugno, il Presidente dello Stato di Israele, Shimon Peres, mi ha rilasciato una lunga intervista trasmessa dal Tg1 delle 20.00 e, in forma integrale, da Rai News 24. Per chi volesse leggerla, ecco la trascrizione integrale in italiano.
Claudio Pagliara. Abbiamo assistito alla calorosa accoglienza tributata dal Congresso americano al premier Netanyahu. Come presidente dello Stato di Israele, che significato gli attribuisce?
Shimon Peres. Chiaramente, l’espressione di amicizia ad Israele è molto significativa per tutti noi. Abbiamo una lunga tradizione di profonde relazioni con gli Stati Uniti. d’America: il Presidente, l’Amministrazione, il Congresso, la gente. Per noi è molto importante. Siamo molto lieti che il Congresso abbia riaffermato il suo sostegno ad Israele.
I palestinesi hanno reagito negativamente al discorso di Netanyahu. Lei crede che il premier avrebbe dovuto esprimere un chiaro sì ad un compromesso territoriale basato sui confini del ’67 , come suggerito da Obama?
Dobbiamo distinguere tra discorsi e processo di pace. Prima di tutto, penso che si possa arrivare ad una vera pace solo in un modo: attraverso un accordo. Una parte in causa non può imporre la pace all’altra. Può imporre altre cose, ma non la pace. E la pace è un processo Non avviene con uno o due discorsi. Il processo inizia con delle questioni aperte. Sono aperte perché c’è un disaccordo e bisogna trovare un terreno comune. Poi bisogna condurre il negoziato per cercare di superare le differenze. E’ vero che in questo momento siamo alle pre – condizioni. Dobbiamo creare l’atmosfera giusta affinché le parti partecipino al negoziato, ognuno con le sue posizioni. Il negoziato deve essere diretto, tra israeliani e
Netanyahu, al Congresso una vittoria di Pirro? – L’Occidentale
Su l’Occidentale, il mio commento al discorso di Benjamin Netanyahu al Congresso americano.
Per andare all’articolo, clicca qui . Di seguito il testo
Gerusalemme. “Il Congresso sionista” ironizza Yedioth Ahronoth, il più letto quotidiano israeliano. Durante il suo discorso al Congresso degli Stati Uniti, Benjamin “Bibi” Netanyahu è stato applaudito 45 volte e la platea gli ha reso onore scattando in piedi 31 volte, registrano i cronisti. Se le stesse parole le avesse pronunciate alla Knesset, sarebbe stato interrotto sì, ma dai fischi dei deputati arabi, alcuni dei quali parlano come i leader di Hamas, dalle rimostranze dei rappresentanti dei coloni, furiosi per l’ammissione del premier che “alcuni insediamenti resteranno al di là dei confini di Israele”, dai mugugni dei partiti religiosi, per quella disponibilità “a soluzioni creative” su Gerusalemme, anche se offerta nel contesto della ferma determinazione a non dividere mai la città santa. Il contrasto tra le assise parlamentari dei due Paesi è balenato nella mente del premier israeliano, che rivolto ai deputati statunitensi ha detto loro: “Pensate, guys, di essere duri, gli uni verso gli altri, qui al Congresso? Venite per un giorno alla Knesset. Siete miei ospiti”.
L’accoglienza è stata calorosa e bipartisan ma non unanime. Il potente Presidente del Comitato per le Relazioni Estere, John Kerry, uno dei più vicini
Arrigoni assassinato da fanatici islamici
Nel cuore della notte, Hamas, in un comunicato ha annunciato che le sue forze speciali hanno trovato il corpo di Vittorio Arrigoni nel covo dove il gruppo salafita (o salafista) lo aveva fatto prigioniero. L’attivista italiano sarebbe stato strangolato. Altre fonti riferivano che era stato impiccato. Ci uniamo al dolore di familiari e amici per la scomparsa di un uomo che aveva scelto la causa palestinese ed e’ rimasto vittima dell’odio più’ cieco di fanatici islamici. La sua morte segue di due settimane quella di un altro attivista filo palestinese, Juliano Mer-Khamis, l’attore e regista che si definiva palestinese ed ebreo: lui, di madre ebrea e di padre cristiano, aveva scelto di insegnare teatro ai bambini del campo rifugiati di Jenin. Anche lui è rimasto vittima dell’odio cieco: un commando di estremisti islamici lo ha ucciso sparandogli 5 pallottole a bruciapelo.
Riportiamo il comunicato di Hamas: contiene l’implicita ammissione che gruppi radicali islamici operano a Gaza per destabilizzare il regime assieme alla scontata accusa di servire gli interessi del nemico sionista.
“The Italian was killed by suffocation and his body was found in a street of the city of Gaza
Ehab Al-Ghsain, spokesman of Hamas interior ministry spokesman said during an urgent news conference that the arrest and the interrogation of one of the group led to disclosing the location where they kept the abducted man. “The forces moved quickly and wisely to the place and found that the abducted was killed hours ago and in an ugly manner according to the pathologist,”
“The government condemns the ugly crime which does not reflect our values, nor our religion nor our tradition and it confirms it will chase the remaining members of the group,” Ghsain said the crime was the first in years and therefore n it did not reflect a retreat in the security stability of Gaza. He also accused those behind it of trying to serve the agenda of Israel by “trying to terrorize those people who support the Palestinian people in Gaza, especially in the time the occupation announced they are trying to prevent the arrival of more solidarity missions to Gaza.”
Pallottole su Alice nel paese delle meraviglie
Juliano Mer-Khamis, arabo israeliano, pacifista e sopratutto attore e regista, e’ stato ucciso ieri a Jenin, da un commando palestinese, una tragica ironia della sorte dal momento che aveva speso gran parte della sua vita a difendere la causa palestinese, lui che aveva sempre dovuto lottare con la sua doppia identità’, figlio di madre ebrea e di padre arabo. Lo hanno ammazzato con una raffica di pallottole davanti al teatro che lui aveva creato, “Freedom Theater”, il teatro della libertà’. Qualche tempo fa Juliano aveva ammesso di sentirsi in pericolo di vita e di prendere precauzioni. I radicali islamici non potevano sopportare l’idea che uno dei progetti culturali più’ importanti dei Territori fosse condotto da un artista per meta’ ebreo. , “Una lampante forma di razzismo”, aveva denunciato Juliano. Che aveva concluso con parole chiaroveggenti: “Dopo tutto il lavoro fatto in questo campo rifugiati, sarebbe una vera sfortuna essere ucciso da proiettili palestinesi” . Il premier palestinese Salam Fayyad ha denunciato l’uccisione come “Una grande violazione dei valori umani” e ha promesso di arrestare i responsabili.
Avevo incontrato Juliano l’8 marzo a Jenin. Aveva scelto la Festa delle donne per la prima della sua nuova creatura artistica, un “Alice nel Paese delle meraviglie” in versione palestinese e femminista. Ecco il testo dell’intervista.
Claudio: Perché’ Alice nel Paese delle meraviglie a Jenin?
Juliano: Alice nel paese delle meraviglie e’ un testo immaginifico, fantasioso, non e’ stato difficile trasformarlo, adattarlo alla realtà’ di Jenin. E’ un inno alla liberazione: liberazione personale e liberazione nazionale. Per una strana coincidenza, mettiamo in scena lo spettacolo dopo le rivoluzioni in Tunisia, Egitto e, inshallah, anche in Libia.
C: La sua Alice e’ prima di tutto un’opera d’arte di alto livello, forse il più’ alto mai raggiunto in Palestina…
J.:Io metto l’enfasi sulla qualita’. Non e’ sufficiente avere un messaggio di alto valore sociale o politico. E’ importante che lo spettacolo abbia un alto valore artistico. L’equipe e’ composta da professionisti. E questo e’ il messaggio che cerchiamo di trasmettere sia agli studenti della scuola di teatro sia all’audience.
C: Ci racconti l’Alice di Jenin…
J: La nostra Alice e’ costretta a fidanzarsi con Ahmed, ma lei non vuole sposarlo e scappa. Nella fuga incontra Rabbit, il coniglio, che la trasporta nel Paese delle meraviglie, Jenin-land. Una terra delle meraviglie dove la gente non si cura che il telefonino squilli nel mezzo della rappresentazione teatrale, ad esempio… Una terra dove c’e’ un baccano infernale, dove l’esercito israliano compie incursioni. Entrata questo mondo, Alice incontra diversi uomini. La desiderano, vogliono fare all’amore con lei, vogliono sposarla. Intraprendendo questo viaggio, Alice cresce, impara e diventa una ragazza indipendente, si sente finalmente libera. Il messaggio e’ che se le nostre donne, le nostre sorelle, le nostre madri non saranno libere, noi tutti, noi palestinesi non saremo mai veramente liberi.
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Itamar, strage degli innocenti: le mie foto
Decine di migliaia di persone hanno partecipato a Gerusalemme ai funerali della famiglia Fogel: il padre Udi (36 anni), la madre Ruth (35) e tre dei loro sei figli, Yoav (11), Elav (4) e Hadas (3 mesi). Due terroristi palestinesi si sono introdotti nella loro casa a Itamar, insediamento ebraico in Cisgiordania, e li hanno pugnalati nel sonno. Sono stato oggi a Itamar e ho seguito i funerali. Ho raccolto alcune immagini che dicono più delle parole: i giocattolii dei bambini nel giardino, una folla sterminata davanti alle cinque bare.
Parla Amidror, il nuovo Consigliere di Netanyahu
Netanyahu ha scelto il generale Yaakov Amidror come nuovo Presidente del Consiglio di Sicurezza Nazionale, ignorando le perplessità di settori della sinistra che lo considerano un falco. Sostituirà Uzi Arad, che torna all’attività accademica, dopo che il ministro degli Esteri Lieberman si è opposto alla sua nomina ad ambasciatore in Gran Bretagna.
Amidror è stato il primo comandante arrivato dalle file del sionismo religioso. Ha servito nell’esercito per 36 anni, ricoprendo gli incarichi di direttore dell’intelligence militare e comandante dell’Accademia militare. Il 9 febbraio scorso, quando la piazza Tahrir ancora non aveva dato la spallata finale a Mubarak, l’ho intervistato nella sede dell’Istituto Lander, di cui è vice presidente da quando è andato in pensione dall’Esercito. Alla luce della nomina, le sue risposte aiutano a capire il punto di vista dell’establishment israeliano sulle sfide del prossimo futuro.
Lei teme che l’Egitto possa cambiare la sua collocazione internazionale?
Non abbiamo la sfera di cristallo. Ciò che conosciamo è la situazione sul campo. L’opposizione ha caratteristiche singolari. Non ha un leader, si è organizzata attraverso internet, Facebook. La domanda aperta è cosa accadrà quando il popolo sarà chiamato a votare. Per raccogliere voti, è necessaria una organizzazione. E per ora c’è una sola forza organizzata, i Fratelli Musulmani. Hanno una lunga tradizione, 80 anni, profonde radici nella società e sono ramificati in tutto l’Egitto. La loro forza l’hanno dimostrata nelle penultime elezioni, ottenendo 88 seggi contro i 36 delle altre forze dell’opposizione. Al momento, non sappiamo cosa accadrà al partito di governo, se si disintegrerà, se troverà un nuovo leader. In ogni caso, c’è ragione di temere che in libere e democratiche elezioni i Fratelli Musulmani vincano. E’ già accaduto in passato. Penso alla Rivoluzione francese: alla fine gli estremisti, non i liberali, prevalsero. Penso alla rivoluzione in Russia: prima che i comunisti ne prendessero la testa era guidata da forse democratiche e liberali. Pensi all’Iran: il premier, nel 1978, era un liberale e alla fine è tornato Khomeini e ha spazzato via tutti. E non facciamoci illusioni, Il linguaggio moderato usato oggi dei Fratelli Musulmani fa parte del gioco. La loro ideologia è quella dell’estremismo islamico. Se in futuro saranno in grado di influenzare il governo, condurranno l’Egitto in uno stato di frizione con Israele.
Se l’Egitto cadesse nelle mani dei Fratelli Musulmani, che nuovi problemi di sicurezza ci sarebbero per Israele?
Dipende dall’Egitto. Noi non abbiamo interesse a cambiare nulla. Stiamo a guardare, cerchiamo di impariarare e col tempo valuteremo il da farsi. Reagiremo a seconda delle azioni che verranno dall’altra parte del confine. Sono certo che l’esercito egiziano comprende il pericolo di un cambio di politica e farà tutto il possibile per mantenere lo status quo. Ma Israele è di fronte ad un gigantesco punto interrogativo. La verità è che non possiamo prevedere che direzione prenderà l’Egitto.
Le nuove incognite hanno un impatto sul processo di pace?
Marya, il cuore degli israeliani vince sulla burocrazia
Marya, 10 anni, potrà restare in Israele per curarsi. Assieme al padre e al fratello, che non la lasciano mai sola, ha ottenuto il permesso di residenza. A concederlo, il ministro dell’Interno Ishai. Appena la notizia si è diffusa, molti occhi si sono riempiti di lacrime di gioia all’ospedale di Gerusalemme, dove da 5 anni è ricoverata.
Marya è una bambina palestinese di Gaza.. Il cielo le è letteralmente crollato addosso, la mattina del 20 maggio del 2006, quando un missile israeliano ha centrato l’auto di un terrorista, a pochi metri dalla sua. L’onda d’urto le ha portato via la madre, la nonna e un fratello. Lei è stata tirata fuori dalle lamiere in fin di vita e trasferita in Israele. Ce l’ha fatta, ma è rimasta paralizzata dal collo in giù.
Gli ospedali di Gaza non sono attrezzati per le cure di cui ha bisogno. Per le autorità israeliane un dilemma. Da un lato il timore di stabilire un precedente, concedendole la residenza. Dall’altro la pressione dell’opinione pubblica, favorevole ad una soluzione umanitaria.
Alla fine hanno vinto le ragioni del cuore su quelle di stato.
Marya ha ottenuto la residenza temporanea. Tra qualche tempo diventerà cittadina israeliana a tutti gli effetti. In ospedale ha imparato l’ebraico. E da tre anni ogni mattina va a scuola . Con ottimi risultati, assicurano gli insegnanti, soprattutto in matematica.